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La sprezzatura di un maestro zen

Ci sono persone che quando ti parlano ti cambiano la vita, non perché poi tu la mattina dopo non vai a lavorare o chissà che, ma ti inchiodano. Le senti forti, ti percuotono, entrano in te nel modo in cui non ti aspetti, ti sorprendono.

Parlare con il monaco Fausto Taiten Guareschi, patriarca del soto zen italiano, è parlare con chi della tradizione ha fatto la propria vita. Quella tradizione intelligente che prende ciò che c’è di buono del passato e la fa vivere con gli abiti del presente. Quella tradizione che non nega la realtà odierna ma la integra, la sensibilizza nell’integrazione culturale.

Parlare con il monaco Fausto è parlare dei suoi maestri, per condividere, con sagacia, ciò che ha introiettato, mutuato dagli esempi che lo hanno formato.

Con noi parla soprattutto di Cesare Barioli.

Il bravo maestro, dice Safouan, è quello che inciampa e fa dell’inciampo il tema della lezione.

Fausto è parmigiano di Fidenza.

Nel suo accento e nel suo rotacismo c’è tutta la sapienza di appoggiarsi su lettere che diano più forza alla parola, che appunto come detto sopra, ti sorprende, ti colpisce.

Inizia la chiacchierata parlando di James Brown, poliedrico artista del gospel, soul, funk e del rhythm blues. Ci parla del testo di “It’s a man’s, man’s, man’s world” canzone del ‘66 che parla di un mondo di uomini che nulla varrebbe senza una donna o ragazza (di cui avere cura, è la tesi di Fausto Taiten).

E siamo al primo insegnamento, prendiamoci cura l’uno dell’altra.

Poi parla di Cesare, il rinunciante (calca sulla r di questa parola, ma la lascia galleggiare, dopo si capirà il perché), l’uomo della rinuncia (sannyasa in sanscrito).

Nel Badagavita, Krishna rimprovera Arjuna: “Guerriero, hai diritto all’azione ma non ai suoi frutti”. Fausto commenta: “...questa è una rivoluzione assoluta (anche qui mette enfasi), la nostra strada è disinteressata (sannyasa)...la purezza d’intenti di quest’uomo (Cesare) mi toccò sin da subito”.

Secondo insegnamento.

Dice Fausto, eravamo a Milano nel 2018 quando feci un intervento per conto dell’Associazione Italia Giappone, che si intitolava “Dal pensiero compulsivo e molesto al pensiero sospeso per un’estetica dell’indisponibilità” in quell’occasione, citai la traduzione in italiano che avevo fatto del libro "Lo Zen e arti marziali" del mio maestro Taisen Deshimaru, la quale edizione aveva una prefazione del maestro Barioli che vorrei riportare:


”Parole, parole, parole, la luna sull’acqua, la riva in movimento...leggendo questo saggio, il campione sportivo non trova appiglio per accrescere il bagaglio di astuzie che lo porterà sul podio. La vita pone il koan della sincerità (makoto) per aprire il senso segreto della Via. La sincerità è rispetto di se stessi, scrutare nel profondo per trovare l’armonia nell’universo; coordinare il corpo, controllare la mente per liberare lo spirito e avvertire i campanellini d’argento che ci chiamano, il sottile profumo che tutto pervade”


Cesare usava una prosa, dice Fausto Taiten, molto elegante.

Terzo insegnamento; si rafforza l’idea che l’uso di sincerità nell’azione, insieme a sannyas, il disinteresse, la rinuncia, diano il vero senso della vita.

Si va avanti parlando di poeti, di sensibilità, del fascino dell’alterità e dell’impossibilità di rappresentare una realtà emozionale profonda se non attraverso la poesia.

Poi Fausto Taiten torna a parlare delle origini dello zazen in Italia, nuovamente attraverso uno scritto di Cesare:


“...ma cominciamo dall’inizio. Negli anni fecondi del ‘68 ci si interrogava sul significato della vittoria sportiva (ancora sannyas). Al Busen, dojo di judo, giunse il monaco dal buffo basco nero e dalla voce profonda che parlava di un eterno presente, del vero combattimento e dell’intuizione. Ricordo che dopo la frenetica attività a cucire cuscini (zafu) un’isterica risata collettiva, ci colse in capo al primo quarto d’ora di meditazione a gambe incrociate. Il sensei la controllò, considerandola come un buon inizio, poi qualcuno entrò nella serenità e nell’attenzione legando questi stati al judo. Deshimaru era specialista di contrattacchi, sortiva all’improvviso dalla bonarietà e dallo humor per colpire con una frase che l’interlocutore avrebbe portato con sé tutta la vita. Misteri dello zen.

Mi diede il rakusu ma non lo firmò, come faceva con gli altri, forse prevedendo che sarei rimasto nel judo. Ebbe subito un particolare riguardo per Guareschi, come se già sapesse che sarebbe stato il suo successore. Io e il maestro rimanemmo amici anche quando fu chiaro che la mia strada era un’altra, Fausto divenne il prediletto anche se i francesi godevano degli onori. So che il maestro ha dato a Fausto lo shiho (trasmissione del Dharma) ma lui deve frugare nella memoria perché il vero shiho, non è un certificato che tutti controllano, ma si nasconde in una frase, i shin den shin (da me a te) e solo Fausto la può conoscere."

La chiacchierata continua con un cuore più grande, allargato da tanto amore e da riflessioni sul senso della vita, siamo grati a Fausto Taiten Guareschi per le sue parole.

Concludo con una frase sarcastica e intelligente tratta da un libro scritto da Fausto Taiten, intitolato “Fatti di fuoco” che racconta la loro esperienza di zazen dei primi anni:

“...quel che resterà non è il nostro sforzo di fare meglio, quello che rimarrà di noi è il superfluo, l’inutile”.

One gaeshi masu, Fausto Taiten roshi


Cesare Barioli è stato sicuramente il più prolifico traduttore, giornalista e scrittore di judo. Uomo di eccezionale cultura e grande fascino dedicò completamente la sua vita alla diffusione delle idee educative del judo e della personalià di educatore del fondatore del judo, Kano Jigoro. Formò come maestro migliaia di judoisti e scrisse le più belle pagine del judo italiano.

Moustapha Safouan è stato scrittore, psicanalista e traduttore egiziano. Visse per lo più in Francia dove nel ‘49 conobbe Jacques Lacan e di lì iniziò la sua formazione.


Il Bhagavad Gita è un testo sacro, è chiamato il Vangelo dell’India, nel poema si narra l’incontro di Arjuna, valoroso condottiero, prototipo dell’eroe, con Krishna, un’incarnazione (avatara) del Divino in forma umana…). Peter Brook ne fece un capolavoro cinematografico dal nome Mahabharata, che è il poema epico (oltre 100.000 versi) che contiene al suo interno il Bhagavad Gita.

Taisen Deshimaru Roshi è stato un monaco buddhista giapponese fondatore dell’Associazione Zen Internazionale. Nato nel 14 fu negli anni trenta discepolo di Kodo Sawaki, uno dei monaci zen più importanti del Giappone. Visse a Parigi, iniziando, in estrema povertà, nel retrobottega di un negozio di macrobiotica a fare trattamenti shiatsu e e sucessivamente a divulgare lo zazen. La via spirituale di meditazione era ancora sconosciuta in occidente. Ebbe molto successo e scrisse molti libri guadagnandosi la stima di noti artisti, scienziati e acculturati di tutta Europa. Visse in Italia per un periodo (fu chiamato ad insegnare zazen al Busen Milano di Cesare Barioli) e fu questo che permise l’incontro tra maestro e allievo che rivoluzionò completamente la vita di Fausto, allora judoista al Busen, facendolo diventare poi dopo la morte del maestro Deshimaru suo erede e patriarca del soto zen (una delle due maggiori scuole giapponesi del buddhismo zen).

Koan: affermazione paradossale, tipica della scuola renzai, usato per aiutare la meditazione e quindi risvegliare una profonda consapevolezza. Tra i koan più famosi “Puoi produrre il suono di due mani che battono tra loro, ma qual’è il suono di una mano sola?”

Makoto, sincerità, una delle virtù del Budo


Zafu, cuscino che assieme allo zabuton si usa per la meditazione


Rakusu: indumento tradizionale del buddista zen, può anche significare l’ordinazione laicale.

Roshi titolo onorifico, vecchio maestro, è più di sensei


Dal pensiero compulsivo e molesto al pensiero sospeso per un’estetica dell’indisponibilità” significa allontanarsi dal pensiero senza pause (pensiamo a certi dibattiti televisivi) andare verso la sospensione di giudizio e constatare l’indisponibilità verso sé stessi, rivolgendosi all’altro e prendendosi cura di lui. La disponibilità dell’altro ad esserci diventa la mia legge.

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